Puch MC 250 1976 Everts Replica
di Roberto Dagradi e Max Mones
In omaggio al titolo Mondiale Cross vinto nel ’75 dal grande Harry Everts, per la stagione successiva il costruttore austriaco di Graz decise di realizzarne una “copia” in serie limitata molto fedele al prototipo ufficiale.
Prodotta esattamente in 95 esemplari, la Puch MC 250 Everts Replica è considerata dai collezionisti di tutto il mondo al pari di una sacra reliquia, un pezzo di storia del Motocross davvero esclusivo, un autentico capolavoro di meccanica per quegli anni. Per averla nel 1976 si doveva infatti sborsare l’equivalente di 3.000 dollari, tre volte tanto una moto da cross giapponese dell’epoca di pari cilindrata. Essendo una Replica molto vicina per tecnica e materiali al prototipo ufficiale, i costi di produzione erano elevatissimi. Venne organizzato apposta un team per l’assemblaggio a mano di un pezzo alla volta, seguendo gli stessi processi manufatturieri adottati per la Puch di Harry Everts.
Era una moto altamente professionale per piloti con grandi ambizioni e grande polso. In linea di massima l’induzione a disco rotante doveva modulare la coppia ai bassi regimi e consentire un passaggio più graduale all’induzione piston port incaricata a produrre la massima potenza. In realtà con la valvola a disco rotante, sotto ai 5.000 era meglio non stare.
Nella transizione da un carburatore all’altro l’erogazione era una vera schioppettata, un razzo terra-aria con eccellenti valori di coppia e potenza. Per sfruttarne appieno il potenziale la Puch MC 250 Replica andava guidata di forza, a regimi sempre piuttosto elevati, in modalità di attacco.
Già un’icona della Regolarità, nel 1974 Puch volle cimentarsi anche nel Motocross con un giovane di talento come Harry Everts. Per la classe 250 il costruttore austriaco di Graz produsse una moto prototipo davvero particolare, dotata di doppio carburatore, uno che alimentava, appunto, il piston port al cilindro e l’altro il disco rotante posto sul lato destro del basamento. Due sistemi di induzione tecnicamente diversi fra loro che dovevano lavorare in tandem.
Alla sua prima stagione in sella alla Puch MC 250 ufficiale, Harry Everts finì il Mondiale al terzo posto dietro al russo Guennady Moisseev (KTM) e al cecoslovacco Jaroslav Falta (CZ). Il definitivo accesso di Everts nell’Olimpo dei Grandi del Motocross avvenne dodici mesi più tardi con la conquista del suo primo Mondiale (primo e unico per Puch) al termine di una fortunata stagione nella quale Moisseev s’infortunò subito e Falta lamentò problemi fisici.
Al secondo tentativo in sella alla Puch, dunque, Everts si aggiudicò il titolo davanti allo svedese Hakan Anderson (Yamaha) e al tedesco Willy Bauer (Suzuki) dando inizio alla straordinaria serie di allori iridati conquistati (gli altri tre nella 125, con Suzuki).
Questa Puch MC 250 Replica rappresenta quindi un momento storico molto significativo per la carriera del Campione belga, riconosciuto dal mondo interno come un’icona del nostro sport. Grazie a questo successo, al Gran Premio di Svizzera di fine stagione ’75 la Puch annunciò la produzione di 100 Repliche pressoché identiche alla moto Campione del Mondo, in realtà poi si fermò a 95. Ma fu comunque un successo commerciale.
Dagli esperti di rarità è considerata una moto da sogno, con tutto il carisma che si addice a un pezzo unico nel suo genere: unico per l’ammissione a doppio carburatore, unico perché non si discostava molto dalla moto prototipo Campione del Mondo. Difficile dire in cosa differissero le Puch MC 250 Replica dalla moto ufficiale portata in gara da Everts.
Forse, in alcune occasioni, per il diametro dei carburatori, sicuramente per le sospensioni, la moto ufficiale montava forcella Marzocchi ZT1 con foderi in magnesio da 230 mm di escursione e doppi ammortizzatori a gas Koni, sempre da 320 mm di escursione, mentre la Replica in oggetto è equipaggiata con una Marzocchi sempre da 38 ma con foderi in alluminio (esc. 220 mm) e una coppia di ammortizzatori della stessa Casa (esc. 200 mm). Comunque sia, una dotazione di tutto rispetto per gli standard dell’epoca.
La scheda tecnica riportava 43,5 cavalli a 8.200 giri, lo stesso regime di rotazione in cui si attestava il piccolo di coppia registrato a 3.8 Kg/m. Per la moto ufficiale si parlava addirittura di 46 cavalli alla ruota (51 all’albero) per 97 kg di peso grazie al largo impiego di magnesio, utilizzato per i carter motore e per i mozzi ruote fusi in terra e rifiniti a mano, e grazie anche ad alcuni accorgimenti come gli strategici fori sul trave centrale scatolato del telaio.
Rapporto di compressione di 12:1, alesaggio 70 mm per il pistone Malhe montato con tolleranza di 0,09-0,11 mm all’interno del cilindro con riporto al Nikasil e corsa dell’albero di 64 mm, quindi un motore superquadro alimentato, come dicevamo, da due Bing 32 mm di diametro del tubo Venturi. Curioso notare come i carburatori avessero la stessa taratura: getto minimo da 35 o 40, getto massimo 150, 152 o 155, polverizzatore 2,70, stesso spillo, stessa valvola del gas. Chissà quante prove e chissà quanti interventi per affinare il setting. Sicuramente un surplus di lavoro…
Accensione Motoplat CDI, la più diffusa all’epoca, con anticipo di 2,5 mm, cambio a cinque marce e frizione multidisco in bagno d’olio. Il telaio un classico doppia culla in acciaio al molibdeno, imbullonato nella congiunzione al trave centrale sotto il cannotto di sterzo, freni a tamburo monocamma (per la verità, non troppo performanti) di 125 mm di diametro l’anteriore e 150 il posteriore, serbatoio in fibra di vetro da 7,6 litri. L’acceleratore e i comandi erano i classici Magura a registro rapido.
Ogni singolo dettaglio della Puch MC 250 Harry Everts Replica del 1976 era studiato e realizzato per stupire, ma soprattutto per vincere. Nonostante il prezzo esorbitante, quei 95 esemplari andarono letteralmente a ruba, soprattutto in America. Oggi sono considerati dai collezionisti un’autentica rarità.
La moto di questo servizio è stata gentilmente messa a disposizione da Alessandro Gabizza. Di quelle repliche Alessandro ne possiede ben tre, due delle quali riesumate sotto anni di polvere in una cantina di un immobile da lui acquistato (quando si dice la fortuna) e tutte ben restaurate da uno specialista come Daniele Di Prima.
Oggi il valore stimato di un esemplare di questo genere in buono stato di conservazione si aggira sui 30.000 dollari. Il suo valore si è decuplicato.
(Images Dagradi)