Brad Lackey. In un Paese lontano
di Eric Johnson
“Non è che vai in Europa e vinci un Campionato del Mondo così, prima devi saldare i tuoi debiti”. Diceva Brad Lackey qualche settimana dopo esser diventato il primo americano di sempre a vincere un Gran Premio nel Campionato del Mondo di Motocross classe 500. È passato tanto tempo per l’allora 24enne californiano. Dopo aver vinto nel 1972 il Campionato AMA National della stessa cilindrata, Lackey impacchettò le sue cose e partì per l’Europa con il sogno di correre una gara del Campionato del Mondo FIM. Cinque anni dopo le cose iniziarono ad andare per il verso giusto, quando il 3 luglio 1977, a Farleigh Castle, Inghilterra, Lackey condusse la sua Honda RC400 Elsinore full factory a un impressionante trionfo sui forti Gerrit Wolsink e Bengt Aberg. Un anno dopo, si piazzò secondo nel Mondiale dietro Heikki Mikkola. Nel 1980 di nuovo secondo, questa volta però alle spalle del belga André Malherbe. Quella che sarebbe diventata un’odissea lunga 10 anni ebbe fine l’8 agosto del 1982 quando, dopo una frenetica domenica di gare su un vasto pratone in Lussemburgo, Brad Lackey si laureò Campione del Mondo 500, l’allora Classe Regina.
Uno dei più grandi, se non il più grande momento nella storia del Motocross degli Stati Uniti era arrivato per un atleta che, nonostante tutti gli alti e bassi nel suo percorso di maturazione, era rimasto fermamente fedele al suo intento nella battaglia per la supremazia nel mondo.
Dalla sua casa nella Bay Area, nel Nord della California, Lackey ci ha offerto la sua candida visione su ciò che orbita attorno al Campionato del Mondo che si corre ininterrottamente dal 1957.
Nel 1982 hai vinto il titolo Mondiale ma ti sei ritirato quasi subito dopo…
“Andai in Europa nel 1970 all’inizio della mia carriera, corsi nei GP 10 anni, fino all’82. Arrivai due volte secondo e avrei dovuto vincere il titolo almeno un paio di occasioni, ma ebbi problemi. Quando nell’82 lo vinsi avevo 28 anni, ero piuttosto vecchio per i bei tempi dei GP. Il contratto con il team per cui correvo era anche giunto a scadenza e l’anno successivo non si sarebbe ripresentata l’occasione di correre con Suzuki perché era arrivata prima e seconda nel Mondiale (l’altro pilota fu André Vromans, ndr) e vinto il titolo Costruttori. Non avendo grandi opportunità di trovare un altro team all’altezza, la cosa migliore da fare fu ritirarmi”.
In un articolo del 3 agosto 1977 pubblicato su Cycle News dichiarasti: “Non è che vai in Europa e vinci un Campionato del Mondo così, prima devi saldare i tuoi debiti”. Allora erano già cinque anni che correvi nel Mondiale 500 e avevi appena vinto il tuo primo GP. Hai davvero saldato il tuo debito?
“Sì, ai tempi nella 500 correvano tutti i top team. I ragazzi più forti del Motocross guidavano le mezzo litro 2 tempi. All’epoca nelle altre classi non c’era molta competizione, era un po’ più facile vincere un titolo 125 o 250. Oggi la classe top è la MXGP, ci sono una decina di piloti che possono vincere un GP. Ai miei tempi era competitiva al 100%… Sono tempi diversi, posti diversi, ma comunque ciò non lo rende facile, sotto ogni punto di vista”.
Ecco uno stralcio di un’intervista che nel 1980 rilasciasti a Cycle News: “Gli scherzi di Brad su una CZ gli fecero guadagnare nel 1971 una visita all’azienda in Cecoslovacchia. Passò tre mesi vivendo in una baracca senza elettricità, usando un ruscello come lavello e vasca da bagno”. Le storie su di te fanno sembrare che stessi vivendo una sorta di avventura alla Jack London… Quanto furono difficili quei primi cinque anni nel Mondiale?
“Storie tutte vere. Lavorai alla CZ come operaio. Al tempo la Cecoslovacchia comunista era nell’Europa dell’Est oltre la Cortina di Ferro, dove era confinata l’intera nazione. C’erano cancelli, recinzioni con filo spinato e mitragliatrici ovunque. Lavoravo tutto il giorno in fabbrica e guidavo la moto fino alla baracca dove stavo. Avevo 16 o 17 anni. Fu una mia scelta. Oggi invece si vive in prima classe, dagli hotel ai voli aerei, in pista hanno i motorhome. Ai miei tempi andavo ai GP con una Ford station wagon e un carrello preso in prestito da uno dei meccanici CZ. Funzionava così. Il mio obiettivo era diventare Campione del Mondo, non potevo farlo se fossi rimasto in America. Intorno al 1974 o ’75 avevo vinto una manche o due. Per prendermi il primo GP dovetti aspettare fino al ’77”.
Chi starà leggendo quest’intervista ora penserà: “Cinque anni per vincere la prima grande gara?”. Quanto ti ha ripagato quel primo GP?
“Niente di così speciale. Avrei dovuto vincerne altri, ma ebbi diversi problemi. Sapevo di potercela fare, però a volte devi avere la fortuna dalla tua parte”.
Al Gran Premio del Belgio del ’76 ti piazzasti secondo dopo una bella lotta con Roger De Coster sul circuito leggendario di Namur. Quindici anni fa visitai Namur con Stefan Everts, in vita mia non ho mai visto niente del genere. Namur è una delle piste più uniche in cui tu abbia mai corso?
“Certamente! Un colpo d’occhio fantastico. C’erano 50mila persone intorno alla pista, incredibile. Saltavi giù sulla strada e passavi davanti allo stand della birra attraversando il bosco, davvero pericoloso tra quegli alberi. Poi c’era la Citadelle. Tutte le persone erano sedute lì a guardare giù verso la partenza. Davvero pazzesco. Namur ha ospitato la storia del Motocross, un vero peccato non si corra più”.
Cosa pensi dei Gran Premi di Motocross di oggi? Gli organizzatori stanno cercando di attirare televisioni e VIP e di puntare su hospitality e comfort. Le piste sono spesso realizzate su porzioni di terreni piani. Il Mondiale va in Paesi dove forse il governo locale aiuta finanziariamente. Non sto giudicando l’operato, visto che è un mondo totalmente differente da tutti gli sport e dall’intrattenimento in genere. Che ne pensi?
“Non ho una bella opinione in merito, a me piace il Motocross di una volta. Ciò che hai detto è quanto effettivamente sta succedendo. L’ultima volta che andai a Namur, nel 2000 o giù di lì, ci sedemmo alla Citadelle per guardare la partenza ma c’erano due tendoni VIP a ostruire la visuale. Non potevo crederci! Qualcuno mi spiegò che erano posti a sedere dove per 500 dollari ti portavano champagne e guardavi la partenza coprendo la vista a ogni persona seduta sulle gradinate. Ora va così. Stanno cercando di portare il Mondiale ai livelli della Formula 1, ma il Motocross non sarà mai come la Formula 1. I fans del Motocross sono gente comune, non ragazzi con una Ferrari e un Rolex al polso. Gente che va a vedere i suoi beniamini in pista, che fa campeggio, mangia panini, beve birra e si guarda la gara. Penso sia un errore cercare di cambiare il Motocross, potrebbe uccidere questo sport…”.
Quando nel 1982 vincesti finalmente il Campionato del Mondo, fu appagante come speravi?
“Oh sì, tranne il fatto che ci impiegai troppo. Trascorsi molti anni in Europa, feci sacrifici e ricevetti un sacco di aiuti, per questo ci misi tanto. Sono felice di esserci riuscito. Ho un titolo AMA National e un Campionato del Mondo. Se dovessi lasciarne uno per l’altro, sai bene a quale rinuncerei”.