Marty Smith, il Guerriero dei due Mondi
Fu il primo americano a correre un’intera stagione di Motocross (era il ’76) diviso fra AMA National e Mondiale GP 125
di Eric Johnson
Era il 1976. Avevo 12 anni e stavo aprendo una delle riviste di moto di mio padre arrivata per posta, quando, sfogliando casualmente, mi soffermai su una grande foto a colori di un pilota su una Honda rossa fiammante con il gomito a terra in curva. Indossava un abbigliamento rosso, bianco e blu e un pettorale Valvoline del Gran Premio degli Stati Uniti classe 125 del Mid-Ohio, coi capelli biondi che gli svolazzavano fuori dalla mentoniera del casco Jofa rosso. Chi era ‘sto tipo? pensai tra me e me, e ne rimasi folgorato. Molto prima che le gare di Supercross venissero trasmesse in diretta TV o prima che fossimo informati 24 ore su 24, sette giorni su sette, attraverso internet e i canali social possibili immaginabili sul mondo del Motocross, c’era un giovane pilota di nome Marty Smith che nel 1976 tentò l’impresa più ambiziosa che questo sport avesse mai raccontato prima nei suoi 60 anni di storia.
Nel 1974 Smith, un pilota relativamente conosciuto della calda periferia di San Diego, divenne famoso per aver vinto il primo Campionato AMA National 125. Aspetto da tipico surfista californiano, l’anno dopo Smith aprì la stagione outdoor perdendo il primo incontro con la Yamaha del Team Tim Heart, cosa che lo fece andare su tutte le furie. Tanto è vero che vinse le sei gare consecutive e riconfermò il titolo. A detta di tutti, la superiorità di Smith fu tale che sembrava corresse un campionato a parte. Tuttavia, tutto questo un giorno sarebbe cambiato.
Prima dell’inizio della stagione ‘76 i vertici di Honda Motor Company, Ltd – sia in Giappone sia negli Stati Uniti – presero una decisione importante: Marty Smith avrebbe dovuto competere contemporaneamente sia nel National Americano 125 sia nel Mondiale FIM della stessa cilindrata. Il confronto su due differenti scenari di guerra era enormemente impegnativo, richiedeva un importante sforzo finanziario, tecnico e logistico su entrambi i continenti. Per Honda non sarebbe stato un problema dal momento che avrebbe significato una promozione “worldwide” della sua potente e popolarissima CR125. Con le vittorie di Smith e le rosse giapponesi, presto il progetto si materializzò.
A Smith piacque subito l’idea di poter spopolare da una parte all’altra dell’oceano, specialmente in Europa dove, a quei tempi, i piloti del Mondiale erano intimiditi da quelli americani. “A quel punto della mia carriera mi sentivo come se stessi correndo da solo – mi confidò Smith 40 anni dopo -. La sensazione era quella che potessi vincere tutte le gare senza problemi. Ero molto sicuro di me, sapevo che nessuno poteva battermi e che si preparava quanto me. Inoltre, non aveva nemmeno le mie moto. Dal momento che vinsi i titoli National del ’74 e ’75, e immaginando che avrei conquistato anche quello del ’76, i piani di Honda furono quelli di vincere tutto, anche il Mondiale FIM”.
Per il 18enne di San Diego era l’occasione della vita. Mai nella storia del Motocross un costruttore e un pilota si erano seriamente impegnati in una battaglia su due fronti. Ma, come il tempo avrebbe presto detto, il compito sarebbe stato di quelli ardui. Sia Smith che Honda stavano per addentrarsi in una sfida che non avrebbe perdonato. “Dissi subito a Honda che l’avrei fatto perché me lo sentivo. Pur non avendo esperienze in merito e mai affrontato quel tipo di viaggi, sentivo che avrei potuto riuscirci facilmente. Tuttavia, una volta che mi ci trovai dentro, capii che forse avevo fatto il passo più lungo della gamba. Perché i viaggi dall’Europa all’America di settimana in settimana erano particolarmente stancanti. Dovevo continuamente viaggiare avanti e indietro, stavo in Europa un paio di settimane, poi tornavo in America per altre tre. Assolutamente pazzesco”.
Ma il destino volle che fosse la moto e non Smith a recare al progetto la maggior parte di problemi. La Honda RC125M Type1 era fabbricata in Giappone con i migliori materiali e la migliore tecnologia che Honda potesse mettere in campo, eppure, la moto presentò un sacco di inconvenienti. Nonostante gli sforzi del meccanico John Rosnthiel e la meticolosa cura dei dettagli, la Honda RC125M Type1 fu piuttosto odiosa da guidare.
Se in Europa fu Rosnthiel a prendersi cura della Honda di Smith, per la moto che doveva correre il National Americano del ’76 fu chiamato a ricoprire lo stesso incarico un giovane meccanico di nome Dave Arnold. “Onestamente – dichiarò tempo addietro Arnold – fui sorpreso di essere il meccanico di Marty e di contribuire a difendere il titolo. Con Rosnthiel in Europa, Marty aveva bisogno di un meccanico in America. Ricordo ancora che John mi rassicurò sul fatto che avrei solo dovuto tenere in ordine le moto, dopodiché al resto avrebbe pensato Smith. Poco prima della gara d’inizio a Hangtown (4 aprile) ricevemmo da Honda una nuova RC125M Type1 e alcune parti speciali. Ricordo che in un primo momento la preparazione della moto fu più orientata verso le gare in Europa che non su quelle Americane. In quel periodo ricevetti una telefonata da John Rosnthiel con un tono di voce che non avevo mai sentito prima. Mi disse: ‘Porca miseria, siamo nei guai’. Inizialmente fu difficile comprendere che le Honda potessero avere così tante noie meccaniche. Le forcelle si piegavano ad ogni gara, i telai si rompevano, i cuscinetti di sterzo prendevano gioco e si ovalizzavano, la curva di potenza del motore era poco ampia, si erano verificati problemi di carburazione sulle gobbe, le sospensioni cedevano, andavano a pacco e scalciavano. La moto non era nemmeno vicina alle condizioni di gara che dovevamo affrontare. Prima di allora le Honda ufficiali erano delle vere opere d’arte, dei gioielli secondi a nessuno. C’era un forte utilizzo di magnesio e titanio che le rendeva leggerissime e molto efficaci sui terreni veloci e scorrevoli degli Stati Uniti, tutt’altro che adatte però alle condizioni molto più severe delle piste europee del Mondiale. Sembrava fosse calato il buio. Eravamo passati dall’aver la migliore moto da corsa a una serie di grattacapi che non avevamo nemmeno sperimentato o immaginato esistessero”.
“La Honda del ’76 ci creò un sacco di problemi, era praticamente da buttare. Di tutti i GP disputati quell’anno credo di averne portati a termine la metà – rammentò Smith con una nota dolente -. Non caddi mai, fu solo una questione legata ai guasti meccanici. Ricordo una gara in Francia dove la pista era molto polverosa, per via di una forte siccità. Partii per primo e poco dopo avevo già 45 secondi di vantaggio. A metà gara li stavo stroncando tutti, quando giù da una discesa saltò la catena e dovetti ritirarmi. Nell’intervallo i meccanici fecero il possibile per risolvere il problema e mi presentai al via di gara2. Dopo circa cinque giri avevo già 30 secondi di vantaggio sugli altri, ma nello stesso punto ruppi di nuovo la catena. Altro ritiro. Prima ancora di quella gara ci fu il Belgio, a casa di Gaston Rahier, il Campione del Mondo 125 in carica. In gara1 si prese l’holeshot, poi lo passai e la gente non poteva crederci che un ragazzino americano gli stesse davanti sulla sua pista. Lo superai e mentre mi stavo allontanando, giù da un salto aprii il telaio in due, sembrava stessi guidando un chopper. Così mi ritirai. Il problema è che per motivi regolamentari, la FIM non ci permise di sostituire il telaio, così fui impossibilitato a schierarmi dietro il cancelletto della seconda manche”.
Non fu solo la moto a causare disordini e frustrazioni all’interno del Team Honda HRC. Lo stesso Smith, che prima di allora non aveva mai corso al di fuori degli Stati Uniti, presto scoprì che le corse in America e quelle in Europa stavano completamente su due pianeti opposti. In più di un’occasione si trovò in situazioni bizzarre causate senza dubbio dalle diverse culture. “Non conoscevo nulla – disse Smith – Al mio primo Gran Premio in Italia (Livorno, seconda prova del Mondiale 125, ndr) Rahier vinse la prima manche e io finii secondo. Poi gara2 la vinsi io. Se fossimo stati in America avrei vinto io l’assoluta. Così, quando arrivò il momento delle premiazioni, salii sul primo gradino del podio immaginando avessi conquistato il GP, invece, Rahier venne da me e mi disse in un inglese stentato: ‘Marty, devi scendere, ho vinto io il GP’. Dal momento che avevo vinto la seconda manche pensai stesse scherzando, poi mi informarono che la discriminante non era il miglior piazzamento nella seconda manche (come del resto era in America) bensì la somma dei tempi di gara. Quindi, in realtà, riuscì a battermi per un paio di centesimi di secondo. La cosa fu deprimente”.
E cosa pensava il Campione del Mondo belga sul pilota che presto sarebbe diventato il suo più acerrimo rivale in Europa? “In un primo momento Rahier si mostrò nei miei confronti piuttosto presuntuoso e arrogante, ma aveva buone ragioni perché era il Campione del Mondo e nessuno poteva batterlo. Tuttavia, una volta che cominciai a vincere – ovviamente, quando la moto non dava problemi – la cosa non gli piacque certo. Però alla fine andammo d’accordo, era un bravo ragazzo”.
La stagione Mondiale entrò nel vivo e Smith, nonostante tutti i problemi alla moto, si mise in luce. L’americano era costantemente fra i primi e se la moto fosse stata insieme per tutta la gara, allora sarebbe diventava una seria minaccia fra i candidati alla vittoria di ogni Gran Premio. Nonostante ci mettesse tutta la buona volontà, Smith patì la nostalgia di casa. “Odiavo l’Europa. Totalmente. Non vedevo l’ora di tornare a casa. Parte del problema fu legato alla mia giovane età, non riuscii ad apprezzare ciò che mi circondava. Avevo questo impegno con Honda che mi occupava tutta la giornata fra gare e scoprire piste diverse. E non capivo quanto fossi fortunato. Non mi piaceva il cibo, non mi piaceva la gente, non mi piaceva il modo in cui le persone mi fissavano tutto il tempo. Semplicemente, non mi piaceva nulla”.
Le piste del Mondiale furono una questione diversa. Anche se fu difficile venire a patti con i modi di fare europei, a Smith piaceva correre i GP e i risultati lo confermarono. “Le piste mi piacevano, anche se ce n’era una in Germania che mi fece dannare, era difficile anche Hawkstone Park, in Inghilterra. Anche lì penai. A parte queste due, tutte le altre mi piacquero molto”.
Il clou della stagione ’76 di Marty Smith arrivò domenica 11 luglio al GP degli Stati Uniti 125 al Mid-Ohio Moto Park. Il weekend precedente, il 4 luglio, a Keyers’s Ridge, nel Maryland – quarto round AMA National 125 – Smith e la Honda Type 1 (una moto molto più adatta alle lunghe e veloci piste americane) passarono Steve Wise negli ultimi due giri e andarono a vincere gara1. Cosa che a Smith non riuscì in gara2 dove finì proprio dietro Wise e così, come da regolamento americano, perse l’assoluta. Ma, al di là di tutto, le due prestazioni diedero a Smith una forte iniezione di fiducia in vista dell’USGP in programma la settimana dopo. Smith in Ohio brillò in entrambe le manche, respingendo un caricatissimo Bob Hannah e la sua Yamaha OW27 factory. Hannah riuscì a tenergli testa per qualche giro in gara1, ma alla fine prevalse sempre Smith, mentre Rahier nella seconda manche si ritirò. “Fu fantastico – disse Smith con una punta di orgoglio -. Una bella gara. Sapevo che la mia moto degli Stati Uniti sarebbe stata migliore di quella europea e che avrei potuto vincere entrambe le manche, come successe l’anno prima sulla stessa pista. Ricordo che in gara1 Hannah era dietro di me e stava spingendo forte, mentre in gara2 entrammo in contatto in curva ed ebbe la peggio. Perse terreno e vinsi anche lì. Feci entrambi gli holeshot e fui contento perché avevo battuto Hannah, considerato a quel tempo l’astro nascente del cross americano. Un sacco di gente è ancora convinta che Hannah fu più veloce di me quell’anno, Bob era un ottimo pilota ma aveva una Yamaha di gran lunga superiore alla mia Honda. Quella moto andava veramente forte, riuscii a batterlo, ma al di là di tutto non era semplicemente il mio anno”.
È interessante notare che sebbene Smith riuscì a battere Hannah nel GP USA in Ohio, nel National 125 di quell’anno non vinse mai una singola manche. Praticamente sconosciuto, Hannah, insieme al meccanico Bill Buckha, si presentò al via della prova di apertura del National ad Hangtown con l’idea di dare una dura lezione a Smith e diventare il nuovo idolo del Motocross Americano. In California Smith si prese l’holeshot della prima manche mentre Hannah rimase indietro nel gruppo in 30.a posizione, ma gli bastarono nove giri per passare in testa e andare a vincere lasciando tutti a bocca aperta. Nella seconda manche Hannah trovò subito la via per mettersi in testa alla corsa combattendo ferocemente contro Smith, fino a che la Honda dell’avversario si ammutolì. “La seconda manche fu la fotocopia della prima, tranne che Hannah partì meglio – rivelò Dave Arnold -. Marty e Bob combatterono pesantemente fino a metà gara, dopodiché tutto d’un tratto la moto di Smith si ruppe. Successe nel punto più lontano dalla zona meccanici e, dalla folla che lo seguiva, fu facile individuare Smith rientrare ai box. Non avevo mai visto nulla di simile in vita mia. Naturalmente, dopo un problema del genere nato subito alla mia prima gara con Marty, le paure della responsabilità che avevo a inizio stagione presero forma. Bob chi? ricordo di aver pensato quando sentii pronunciare il suo nome. Quel giorno la vittoria di Hannah sconvolse tutto l’ambiente, praticamente era un mezzo sconosciuto”.
Hannah continuò a vincere tre dei quattro round National successivi e si incamminò verso la conquista del titolo 125. Smith, che invece lo seguiva in classifica al terzo posto, pur avendo ricevuto in Ohio ad agosto di quell’anno (sempre del ’76 parliamo) una RC125 Type 2 Delta radicalmente cambiata, fu accecato dalla luce riflessa da Hannah. “Avevo sentito parlare di Hannah – rammentò Smith – Sapevo che era un pilota veloce e difficile da battere, ma non quanto fosse duro. Rimasi davvero sorpreso da quanto era veloce. Mio padre era solito ricordarmi che prima o poi qualcuno sarebbe arrivato a darmi una bella lezione e quel qualcuno fu Hannah”.
Marty Smith quell’anno riuscì a chiudere il Mondiale 125 al terzo posto dietro il Campione Gaston Rahier e al cecoslovacco Jiri Churavy diventando il pilota americano meglio piazzato nella storia dei GP fino a quel momento. “Se non fosse stato per i guai meccanici, avrei potuto vincere il titolo” concluse Smith.
Quando il sipario calò sulla stagione ‘76, i commenti sulle prestazioni di Smith furono discordanti. Alcuni detrattori dissero che ciò che Smith aveva cercato di realizzare fu troppo complesso e faticoso. Smith in realtà non la vedeva così. “Io c’ero e l’ho vissuta di persona. So cosa vuol dire viaggiare da una parte all’altra del mondo per correre. Visti i risultati chiunque poteva pensare che il compito fosse troppo duro per un pilota, ma la verità è che si poteva fare. Ero orgoglioso di ciò avevo raggiunto, un po’ meno rispetto al fatto di non aver vinto da nessuna parte dei due continenti. Ci abbiamo provato ma non ci siamo riusciti, e fu deprimente. Cercai di ricordare a me stesso che dal punto di vista tecnico non eravamo a posto quanto avremmo potuto essere. Forse pretendevamo troppo”.
Nel 1977 Smith vinse il suo ultimo titolo AMA National nella classe 500 sconfiggendo il rivale di sempre, Bob Hannah, nell’ultima gara della stagione. Quell’anno Rahier conquistò il suo terzo titolo Mondiale 125, classe in cui detiene ancora oggi il record assoluto di 29 Gran Premi vinti. Purtroppo, il 27 aprile del 2020 Marty Smith Smith e la moglie Nancy hanno perso la vita in seguito a un incidente con la loro dune-buggy nel Sud California.
Nato a San Diego il 26 novembre del 1956, Smith contribuì a mettere in luce Honda, conquistando con la Casa Alata il suo secondo, terzo e quarto campionato AMA National Motocross, a metà degli anni ’70. Il palmares di Smith conta vittorie in tutte e tre le classi AMA Motocross (125, 250 e 500cc), oltre a Supercross 250cc, Trans AMA 500cc e persino nel Mondiale di Motocross 125cc FIM. Membro dell’AMA Motorcycle Hall of Fame, a soli 24 anni una serie di infortuni lo costrinse ad appendere il casco al chiodo, dedicandosi in seguito ad insegnare ai giovani talenti alla Marty Smith Motocross Clinic.
“Fu un’era di ribellione per molti adolescenti – ricorda Dave Arnold -. Marty era un ragazzino prodigio. Quando i genitori di quei ragazzini come Marty vedevano nel motocross uno sport sano, lontano dalle cattive tentazioni, erano più propensi a comprare una Elsinore o qualsiasi altra moto. Marty incarnava il prototipo di idolo degli adolescenti, con la sua maglia rossa, bianca e blu Honda era sulle copertine dei libri, sulle sportine per il pranzo. Il legame tra Marty e Honda era indissolubile. Quando lo invitarono in Giappone, gli stesero un tappeto rosso con il signor Soichiro Honda lì ad attenderlo sulla passerella”.
(images courtesy RacerX)