VINCERE NON E’ IMPORTANTE
è l’unica cosa che conta
C’È UN’ELEGANZA NON DELIBERATA CHE SI ACQUISISCE O S’INTERPRETA QUANDO SI GUIDA IN UNA CERTA MANIERA. VINCERE SARÀ PURE LA SOLA COSA CHE CONTA – COME DICE GIAMPIERO BONIPERTI – MA NEI NOSTRI SPORT C’È QUALCOSA CHE VA OLTRE IL PENSIERO CHE L’AUTOREVOLE ESPONENTE DI CASA JUVENTUS RICONDUCE AL RISULTATO.
Se penso ai padroni del rettangolo verde, paragono Villopoto a Ronaldo e Messi. La Champions League magari non la vinceranno Real Madrid o Barcellona, ma pensare a quanto siano educati i piedi di quei due mette in pace con il mondo.
Chi sale sul gradino più alto del podio ha sempre ragione.
L’importanza di vincere resta assoluta, guai se fosse il contrario. Ma gli anni di mestiere minano la passione, smorzano gli entusiasmi e azzerano le emozioni.
Allora, nel tempo, si smette di esultare per il successo dell’uno o dell’altro e si apprezza quel che vien fatto per ottenerlo: la scelta di una traiettoria, il modo di accarezzare un salto, l’armonia nelle complesse sezioni ritmiche. La soglia di attenzione resta alta a bordo pista ma anche sul divano di casa: il bello è comunque bello a prescindere da un segnale tivù che vien filtrato da una regia che, mammamia, dove li han trovati…
Villopoto spiega al mondo che una 450 si può ancora guidare come si faceva quando i motori bruciavano
miscela. E al di là di quel che ha espresso la classifica, vederlo nel suo esordio in Qatar è stata una medicina efficacissima contro la noia delle ultime stagioni.
Le sue linee improbabili e non sempre efficaci, le geometrie difficili da prevedere, quell’essere una cosa sola con la moto anche se quella moto magari non va come dovrebbe. Insomma, roba spessa.
ll confronto con i senatori della MXGP stride. Omologati, standardizzati nel modo di guidare e correre, i rivali dell’americano per quanto fortissimi e meritevoli di rispetto, escono demoliti dal confronto che riferisce a quel che si deve fare quando si vuol emozionare l’appassionato. Per fortuna di Cairoli, Desalle, Nagl e Paulin, non basta esser belli per diventar campioni… Resta il fatto che in Villopoto c’è qualcosa di diverso, ed è qualcosa di poco negoziabile: o ce l’hai oppure no.
Nelle prime due gare c’è chi è andato molto più forte di lui. Ma quando è stato lui il più veloce, la spaccatura è stata evidente. Villo(m)oto ci ha riportati indietro nel tempo. Quando il pilota si faceva apprezzare per tutte quelle cose che con il risultato mica c’azzeccavano: un pantalone, le ghette, l’ala del casco rivolta all’insù, lo stile… di guida ma non solo.
Il Campione della Kawasaki è insieme sintesi e spettacolarizzazione del gesto. E’ la maniera – per noi disorientante – di occupare gli spazi: la pista c’è e allora me la prendo tutta. Come insegna il National. Quel che lo rende unico è la tendenza ad invadere gli spazi di cui sopra con una logica che arriva da un mondo lontano; la scelta della traiettoria (che non è mai definitiva ma relazionata alla situazione) culmina con un personalissimo modo di buttar giù la moto in piega e di risollevarla con una manciata di gas.
Mi chiedo cosa potremmo vedere se le piste non fossero pensate da Greg Atkins, il responsabile dei tracciati che, nonostante tutto, continua a godere della fiducia di YouthStream.
A proposito delle piste di Qatar e Thailandia.Tollero a fatica il tracciato di Losail, non comprendo il minuto e mezzo di percorrenza dell’impronunciabile Nakhonchaisri, imbarazzante seppur capace di esaltare le qualità di uno specialista come RV2. Ma piloti, manager e costruttori non han nulla da eccepire?
Mi chiedo se con certi attori non si dovrebbe prestare maggior attenzione al teatro e, perché no, alla regia.
EDOARDO PACINI
Direttore Responsabile